L’associazione professionale ad oggi è la forma più utilizzata per l’esercizio in forma congiunta di attività professionali.
Dal momento in cui si è reso lecito utilizzare anche la forma societaria, è utile valutare se sia o meno possibile passare dalla forma di associazione professionale, considerata come associazione non riconosciuta atipica, a quella di società tra professionisti, avvalendoci della possibilità data dalla normativa sulle trasformazioni eterogenee.
Il codice non consente la trasformazione diretta da associazione non riconosciuta in società di capitali; rimane spazio per ipotizzare come lecita una trasformazione in società di persone, per la quale non è prevista alcuna normativa, ovvero in società cooperativa, forma espressamente prevista anche per le società tra professionisti.
In ogni caso non sarà facile dare un valore all’associazione professionale, comprensiva di beni materiali, rapporti di lavoro subordinato, contratti di ogni genere, e beni immateriali quali l’apporto organizzativo e professionale di ciascun associato, ivi inclusa la tanto discussa clientela
Meno problematico sarebbe il passaggio da società di servizi, già costituita tra professionisti, in STP, passaggio che tuttavia non credo realizzerebbe una vera e propria trasformazione ma una importante di modifica statutaria. Infatti la STP non costituisce un nuovo tipo sociale, ma piuttosto un sottotipo, così come ipotizzato per le srl semplificate.
Il problema della continuità dei rapporti facenti capo all’associazione, potrebbe però essere affrontato in modo differente. Se consideriamo che uno studio professionale è un’organizzazione di mezzi e persone che offre dei servizi dietro corrispettivo, che il valore della struttura è superiore a quello dato dalla semplice somma dei beni che la compongono, potremmo considerare l’organizzazione dell’associazione professionale come una azienda professionale, sia pure in senso atecnico e ritenerne lecito il conferimento in società.
Pertanto non dovrebbero esserci ostacoli a costituire un STP, qualsiasi fosse la forma sociale scelta, mediante il conferimento dell’organizzazione creatasi tra i professionisti associati comprensiva di tutti i beni materiali e immateriali, contratti, ecc, che la compongono.
E’ possibile farlo anche da parte del singolo professionista? la risposta dipende dal ritenere o meno legittima la STP con unico socio. In proposito si ricorda che sul punto non c’è unanimità tra i commentatori.
Non appare invece configurabile la trasformazione di questa “azienda professionale” facente capo ad un unico socio in società tra professionisti così come non è prevista la trasformazione da impresa individuale in società commerciale.
Altro problema è della distribuzione degli utili. E’ evidente come nelle STP esista l’esigenza di valutare di anno in anno in quale misura ciascuno ha partecipato a creare il reddito della società e di conseguenza come ripartirne i guadagni.
Le norme societarie consentono di ripartire gli utili anche in modo non proporzionale alla partecipazione al capitale, qualsiasi forma sociale si intenda assumere, anche qualora nella STP ci fosse la presenza di soci non professionisti.
In caso di società di persone, le quote di partecipazione agli utili si presumono proporzionali ai conferimenti, ma i soci possono convenire di distribuirsi i guadagni come ritengono opportuno, con l’unico limite del patto leonino.
Nelle società di capitali la distribuzione degli utili deve passare attraverso la decisione dei soci (art.2433 e 2479 secondo comma n.1 c.c.).
Nella srl, in forza della norma che consente di attribuire diritti speciali a singoli soci, lo statuto potrebbe già prevedere dei criteri per stabilirne le quote di ripartizione, ai quali l’organo amministrativo dovrà obbligatoriamente attenersi. Inoltre si potrebbe riservare ad alcuni soci una misura percentuale sugli utili di esercizio maggiorata, ovvero con priorità, rispetto a quella spettante agli altri, o anche riconoscere una forma di postergazione nelle perdite.
Particolarmente interessante per le STP è la facoltà, di convenire prestazioni accessorie. La previsione può essere compresa nello stesso atto costitutivo che ne detterà la disciplina, inerente l’attività oggetto della prestazione, le modalità, la durata ed il relativo compenso. Questo consente di precisare i termini dell’apporto professionale di ciascun socio e di stabilirne una retribuzione ulteriore rispetto a quella a lui spettante nella distribuzione degli utili per la quale occorre attendere i tempi della stesura del bilancio e della sua approvazione. Inoltre sarebbe un modo per obbligare i a lavorare per la società, obbligo che senza una espressa clausola contrattuale, non si avrebbe.
Passando alle Spa, è opportuno ricordare come la riforma abbia di fatto liberalizzato lo strumento azionario demandando all’autonomia dei soci la possibilità di determinare il contenuto e i diritti sulla base delle esigenze di ogni società. Quindi è possibile creare delle azioni correlate a determinati ambiti di attività professionale a sensi dell’art 2350 c.c., nonché diverse categorie di azioni che attribuiscano diritti diversi sulla distribuzione degli utili e nell’attribuzione della quota di liquidazione in caso di scioglimento, o sulla incidenza delle perdite.
Lo statuto potrebbe prevedere l’emissione di strumenti finanziari a sensi dell’art. 2346 sesto comma c.c., che potranno godere di un trattamento speciale rispetto a quello riservato agli azionisti, e che potrebbero essere utili per soddisfare i collaboratori dello studio professionale che non si intendano far partecipare alla società.
Nel caso di società cooperativa i soci non professionisti potrebbero essere considerati per regola statutaria soci finanziatori a sensi dell’art. 2526 c.c.. In tal modo i soci di investimento potrebbero essere soci non cooperatori e i loro diritti potrebbero essere limitati o privilegiati secondo quanto si riterrà opportuno stabilire.