L’esecuzione dei contratti al tempo del corona virus

COVID 19 – LO STUDIO LEGALE FELICI NON SI FERMA


È nostra intenzione rassicurare i Clienti sul fatto che l’assistenza day by day viene assicurata dallo Studio Legale Felici, che è rimasto e rimane aperto, nel rispetto delle indicazioni governative, per la gestione del contenzioso e attività che necessitano inevitabilmente della presenza in loco (ovvero da
remoto).
Lo Studio utilizza da tempo gli strumenti informatici per il c.d. “lavoro agile” (gestione documentale in remoto, piattaforme di videoconferenza, digital collaboration ecc.), che con l’emergenza Coronavirus sono stati ulteriormente potenziati al fine di consentire non solo la gestione
integrata degli adempimenti interni e processuali, ma anche un facile contatto con la clientela. Le riunioni, anche interne, si svolgono in videoconferenza garantendo comunque l’efficacia e professionalità dell’intervento, la sicurezza dei nostri assistiti e la tutela della privacy.

L’esecuzione dei contratti ai tempi del coronavirus

L’esperienza nefasta del COVID-19, sull’intero territorio nazionale ed a livello mondiale, ha indotto le Autorità governative all’adozione di una serie di misure volte a contrastare l’emergenza.
Riteniamo che possano esservi utili brevi spunti di riflessione su alcuni temi.

  1. Gli effetti sui contratti in essere nel caso in cui una parte è nell’impossibilità di eseguire la propria prestazione (in conseguenza dell’attuale situazione e delle restrizioni imposte dal governo)
    ed i possibili rimedi offerti dal nostro ordinamento giuridico ove, evidentemente, non siano state previste delle espresse e specifiche clausole contrattuali.
    Il debitore può essere esonerato dalla responsabilità per l’inadempimento o il ritardo laddove dimostri l’impossibilità della prestazione e che tale impossibilità non sia a lui imputabile.
    L’impossibilità, per poter rilevare ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore, deve essere oggettiva, imprevedibile, assoluta e insuperabile.
    (Riferimenti normativi: artt. 1218 e 1256 c.c. primo comma)
    1.2. In caso di impossibilità definitiva della prestazione non imputabile al debitore, l’obbligazione si estingue, senza che il debitore possa essere chiamato a rispondere per un inadempimento. Tra le ipotesi di impossibilità certamente rientra un provvedimento o ordine
    dell’Autorità amministrativa che renda impossibile la prestazione.
    (Ad es. cancellazione di numerosi voli aerei disposta dal governo per fronteggiare l’emergenza coronavirus: (i) la compagnia aerea non sarà responsabile per il proprio inadempimento (art.1218 c.c.); (ii) l’obbligazione contrattuale assunta da quest’ultima si estingue; (iii) il contratto di trasporto si risolve di diritto, senza cioè che occorra alcuna iniziativa da parte dei soggetti interessati; (iv) la
    parte liberata dalla propria prestazione, per l’effetto della intervenuta risoluzione del contratto, non potrà pretendere la controprestazione dell’altro contraente e nel caso in cui l’abbia già ricevuta dovrà
    provvedere alla sua restituzione. Vi segnaliamo nello specifico art. 28 del Decreto Legge 2 marzo 2020 n. 9, circa il “rimborso titoli di viaggio e pacchetti turistici” mentre il Decreto Legge 17 marzo 2020, ha esteso detta norma anche ai contratti di soggiorno).
    Le norme citate possono rilevare anche per la c.d. impossibilità di utilizzazione della prestazione, nel caso in cui la prestazione prevista in contratto sia in astratto ancora eseguibile, ma sia di fatto
    venuta a mancare la possibilità di realizzare lo scopo perseguito con la stipulazione del contratto.
    1.3. Nel caso di impossibilità temporanea di eseguire la propria prestazione (fino al perdurare della odierna situazione) l’obbligazione del debitore viene sospesa senza che il debitore possa essere
    ritenuto responsabile del ritardo nell’adempimento, tuttavia, l’obbligazione si estingue ( come se l’impossibilità fosse definitiva) qualora la situazione permanga tanto che il creditore non abbia più
    interesse a conseguirla ovvero qualora la situazione permanga tanto il debitore non possa più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione, valutate le circostanze specifiche del caso concreto.
    In questi casi, quindi, il rapporto contrattuale viene a trovarsi in uno stato di “quiescenza”, che può risolversi con il venir meno della impossibilità di eseguire la prestazione oppure – qualora, ad
    esempio, nelle more venga meno l’interesse del creditore a ottenere la prestazione, poiché la merce acquistata gli era necessaria entro un determinato termine – la definitiva impossibilità di eseguire la
    prestazione e il conseguente scioglimento del vincolo contrattuale.
    (Ad es. il commerciante che, a fronte della chiusura della propria attività provvisoriamente disposta dall’Autorità, non sia in condizione di consegnare al cliente la merce acquistata. Ove il termine per la consegna della merce non abbia carattere “essenziale”, ed il cliente abbia ancora interesse a riceverla, il commerciante non potrà essere ritenuto responsabile per il ritardo della consegna fino a quando permarrà il provvedimento di chiusura della propria attività).
    Vi segnaliamo nello specifico, l’art. 91 del decreto c.d. CuraItalia che ha inserito, all’art. 3 del Decreto Legge 23 febbraio 2020 n. 6: “il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
    (Riferimento normativo: art. 1256, secondo comma, c.c.)
    1.4. Resta comunque fermo il principio generale secondo cui la parte che non abbia ricevuto la controprestazione potrà sospendere la prestazione, cui essa è tenuta avvalendosi dell’eccezione
    di inadempimento ex art. 1460 c.c..
    L’eccezione di inadempimento prescinde dalla responsabilità della controparte e può essere fatta valere anche quando il mancato adempimento dipende dalla sopravvenuta impossibilità per causa
    non imputabile al debitore.
  2. Nei contratti con prestazioni corrispettive, l’intervenuta impossibilità totale della prestazione di una delle parti comporta la liberazione anche dell’altra parte, la quale avrà altresì diritto alla restituzione di quanto abbia già corrisposto per l’obbligazione divenuta impossibile.
    Nel caso di sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione il creditore può agire per ottenere la riduzione della propria controprestazione (ove possibile) oppure, se non ha interesse ad una
    prestazione parziale, può chiedere il recesso dal contratto. Invece il contraente la cui prestazione è divenuta parzialmente impossibile rimarrà obbligato, nei limiti in cui la prestazione sia parzialmente
    possibile all’adempimento parziale.
    (Riferimento normativo: artt. 1463 e 1464 c.c.)
  3. In difetto di un’espressa previsione contrattuale, se la prestazione di una parte non è impossibile ma è divenuta più onerosa di quanto lo fosse al momento della firma del contratto, il nostro ordinamento espressamente contempla l’ipotesi di risoluzione del contratto per
    eccessiva onerosità sopravvenuta (che si applica solo ai contratti c.d. di durata).
    Il concetto di eccessiva onerosità della prestazione non è una mera difficoltà di adempimento, cui l’ordinamento non attribuisce alcuna rilevanza giuridica; per dar luogo alla risoluzione del contratto
    l’eccessiva onerosità deve consistere in una alterazione significativa del sinallagma contrattuale. La sopravvenuta onerosità deve inoltre derivare da avvenimenti straordinari e imprevedibili mentre se
    rientra nell’alea normale del contratto, il rimedio della risoluzione non può essere domandato.
    (Riferimento normativo: artt. 1467 e 1458 c.c.)
  4. La risoluzione del contratto determina la liberazione di entrambe le parti (adempiente e inadempiente) dall’esecuzione delle rispettive prestazioni ed avendo effetto retroattivo comporta anche l’obbligo di restituire e rimborsare le prestazioni fino a quel momento eseguite e/o ricevute salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite.
    La parte, cui viene domandata la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, può evitare lo scioglimento del contratto, offrendo di modificare le condizioni dello stesso per “riequilibrarlo”.
    A differenza dei casi di impossibilità sopravvenuta, in cui l’obbligazione si estingue automaticamente, nel caso di eccessiva onerosità sopravvenuta la parte, la cui prestazione divenga eccessivamente onerosa, non è automaticamente esonerata dall’adempimento e neppure legittimata a sospendere l’esecuzione della propria prestazione ma, per poter essere liberata dalla propria
    obbligazione e non incorrere in responsabilità per inadempimento, dovrà agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
    (Riferimento normativo: art. 1458 c.c.)
  5. Un caso irrisolto: la locazione immobiliare
    In considerazione dei provvedimenti governativi che hanno disposto la chiusura di molte attività commerciali, potrebbe ravvedersi una particolare ipotesi di impossibilità temporanea e parziale di
    eseguire la prestazione (o meglio di utilizzare la prestazione) in relazione ai contratti di locazione ad uso commerciale a seguito di divieto di svolgimento dell’attività per il cui esercizio l’immobile era
    stato concesso in locazione.
    Il conduttore che non abbia interesse (confidando in una ripresa della propria attività) o non possa recedere dal contratto (ad es. perché nel contratto è stato escluso il recesso per gravi motivi), potrebbe avrebbe diritto di ottenere una “corrispondente” sospensione o riduzione del canone di locazione; riduzione che andrebbe parametrata al periodo di mancato utilizzo dell’immobile.
    Si segnala l’articolo 65 del Decreto CuraItalia che ha riconosciuto, per l’anno 2020, agli esercenti attività di impresa (ad eccezione dei casi previsti dall’allegato 1 e 2 del Decreto del Presidente del
    Consiglio dei Ministri dell’11 marzo 2020) “un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella
    categoria catastale C/1” (quali ad esempio negozi e “botteghe”).
    Tale credito di imposta non si applica ad alcune attività indicate agli allegati 1 e 2 del Decreto del Presidente del consiglio dei Ministri 11 marzo 2020 n. 6 (ad es. farmacie, para-farmacie, punti vendita
    di generi alimentari di base) ed è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997 n. 241. La disposizione menzionata potrebbe incidere nella
    valutazione in ordine alla ricorrenza dei presupposti di applicabilità delle norme sull’eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., e sui gravi motivi ex art. 27, comma 8, legge 392/1978.
    In effetti, prevedere un’agevolazione (fiscale) a favore del conduttore che debba pagare il canone per la locazione di un immobile inutilizzabile mal si concilia con la possibilità da parte di quest’ultimo
    di invocare la pandemia come legittima causa di sospensione dell’obblicazione di pagamento (astrattamente sempre possibile).
    Fermi i principi sopra sommariamente richiamati, l’emergenza coronavirus, che ha portato alla chiusura improvvisa ed incolpevole degli esercizi commerciali e alla conseguente mancanza di introiti,
    rappresenta un evento che induce locatori e conduttori alla necessità di “rivedere” i contratti di locazione stipulati.
    L’iniziativa spetta al conduttore che è tenuto a contattare il locatore per trovare la miglior soluzione che possa soddisfare le nuove emergenze e le mutate esigenze.
    Come già evidenziato, il conduttore non può sospendere arbitrariamente il pagamento del canone perché questo legittimerebbe la richiesta di risoluzione per morosità da parte del locatore.
    D’altro canto la previsione normativa (art. 1467 c.c.) della possibilità per il conduttore di domandare la risoluzione del contratto, nel caso sia diventato troppo oneroso per avvenimenti straordinari e imprevedibili, può indurre il locatore ad accettare condizioni contrattuali diverse e mantenere in essere il contratto. Ad esempio, il conduttore potrebbe concordare con il locatore:
    a) di procrastinare il termine di scadenza del pagamento del canone, senza addebito di interessi o di altre penalità. Le parti possono, in questo caso, concordare una proroga per un determinato periodo, decorso il quale verrà eseguito il versamento del dovuto;
    b) stabilire la riduzione del canone per tutto il periodo in cui resteranno in vigore le limitazioni imposte (fino all’apertura degli esercizi pubblici o alla ripresa delle attività). Se il conduttore prevede
    che la sua capacità reddituale ridotta, incompatibile con il canone, concordato prima del Covid-19, non cesserà con la fine dell’emergenza sanitaria, può negoziare una riduzione dell’importo del canone
    di locazione fino alla scadenza del contratto in corso ovvero stipulare un nuovo contratto.
  6. Al di fuori dell’ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta, il nostro codice non prevede rimedi per il caso in cui lo squilibrio delle prestazioni non rientri tra quelli “eccessivi”.
    In assenza di specifici rimedi previsti nel contratto, è possibile invocare i principi generali dell’ordinamento giuridico ed in particolare quello la buona fede (articoli 1366 e 1375 del codice
    civile) e quello di equità integrativa (articolo 1374 del codice civile), per sostenere la richiesta di rinegoziazione.
    Nell’ambito dei contratti commerciali internazionali, specie quelli che hanno una durata prolungata nel tempo, è molto diffusa e consigliata la previsione delle c.d. clausole di hardship, con le quali si individuano le possibili circostanze sopravvenute che potrebbero determinarne una alterazione dell’equilibrio, stabiliscono le modalità di accertamento delle stesse disciplinando i possibili rimedi,
    prevedendo ad es. una ri-negoziazione del contratto per ristabilire l’equilibrio tra le prestazioni.
  7. Le clausole di forza maggiore, inserite nei contratti, generalmente prevedono che la parte possa ricorrere alla sospensione dell’adempimento della prestazione, alla risoluzione del contratto
    ovvero alla modifica delle condizioni del contratto secondo equità in caso di eventi imprevedibili, straordinari e non imputabili al debitore, i quali determinino o l’impossibilità della prestazione, o
    l’eccessiva onerosità della stessa.,
    Con riferimento ai contratti conclusi in precedenza, la diffusione del coronavirus potrebbe rilevarecome causa di forza maggiore.
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    Le suesposte considerazioni sono svolte in termini puramente indicativi e non esaustivi e non devono intendersi e non sostituiscono un parere legale sulle specifiche questioni.
    Stiamo elaborando ulteriori aggiornamenti informativi in tema di:
  • gestione contratti internazionali;
  • “smart working” in epoca di coronavirus, anche sotto il profilo giuslavoristico;
  • Covid-19 – Crisi d’impresa e processi nel D.L. 8 aprile 2020;
  • sospensione ex art. 83 DL 18/2020 “Cura Italia” in relazione ai termini della procedura di
    concordato preventivo;
  • profili di criticità nella soluzione normativa “a due livelli” adottata dal Governo nella gestione
    dell’emergenza “coronavirus”, con il ricorso a un decreto legge “pilastro” (prima il D.L. 23
    febbraio 2020, n. 6, convertito in legge, con modificazioni, dalla l. 5 marzo 2020, n. 13;
    successivamente il D.L. 25 marzo 2020, n. 19) e a regolamenti ministeriali volti a
    compiutamente attuare il decreto legge (i noti D.P.C.M. e D.M.);
  • gestione dei rapporti bancari (mutui e finanziamenti chirografari, pagamenti e titoli di credito
    ecc.)
    ed ulteriori spunti di riflessione in relazione alla recente normativa di cui al c.d. “Decreto liquidità”
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