Com’è noto, il principio della retroattività della norma più favorevole non è contemplato dalla legge n. 689/19811. La mancata previsione di tale principio, assimilabile all’art. 2, co. 3, del c.p., aveva indotto la dottrina e la giurisprudenza prevalenti a reputare che, in detto sistema sanzionatorio, avrebbero dovuto considerarsi irrilevanti le sopravvenute modifiche normative favorevoli al reo.
In ossequio al principio tempus regit actum, si era soliti ritenere che la sanzione amministrativa debba essere irrogata alla luce e in considerazione della sola legge vigente al momento in cui la condotta illecita era stata posta in essere.
Siffatta impostazione trovava eccezione in una serie di casi espressamente previsti da specifiche leggi di settore.
In realtà, già all’indomani dell’entrata in vigore della l. n. 689/1981, si era ritenuto, da parte di qualificati commentatori, che anche nel sistema sanzionatorio amministrativo debba essere riconosciuto il principio della retroattività della norma più favorevole perché esso è ontologicamente «correlato all’essenza afflittiva della potestà sanzionatoria, la quale opportunamente dev’essere rapportata alla valutazione che l’ordinamento “storicamente” operi della condotta che si intende reprimere» (così M. A. Sandulli, Le sanzioni amministrative pecuniarie. Principi sostanziali e procedimentali, 1983). Sulla scorta di tali convinzioni veniva sollecitato un intervento additivo della Corte costituzionale.
Tuttavia la Consulta ha, a più riprese, disatteso tale ricostruzione, ritenendo «manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale [dell’] art. 1, 2° comma,l. 24 novembre 1981 n. 689 (…) nella parte in cui non preved(e) che, se la legge in vigore al momento in cui fu commessa la violazione e quella posteriore stabiliscano sanzioni amministrative pecuniarie diverse, si applichi la legge più favorevole al responsabile» (Corte Cost., 28 novembre 2002, ord. n. 501).
Con l’ormai celebre sentenza, resa in data 17 settembre 2009 nel caso Scoppola c. Italia, la Corte di Strasburgo, per la prima volta riconosceva valenza convenzionale al principio della retroattività in bonam partem delle norme di carattere sanzionatorio, stabilendo che detto principio debba implicitamente farsi rientrare nella previsione dell’art. 7 CEDU, evidenziando la necessità di interpretare la Convenzione conformemente a quanto prescritto in subiecta materia dalle principali Carte internazionali dei diritti, che espressamente contemplano il principio in parola.
La Corte, con la sentenza Scoppola (che secondo le nostre categorie interne è definita una sentenza additiva) ha ritenuto imprescindibile includere tra i principi enucleati dall’art. 7 CEDU anche quello della retroattività in mitius. L’approdo cui è giunta la Corte di Strasburgo con la suddetta pronuncia è stato poi confermato nella sua successiva giurisprudenza della Corte stessa.
(Siffatto principio deve, dunque, necessariamente trovare applicazione con riferimento a tutte le sanzioni che possono essere fatte rientrare nella nozione di “materia penale” elaborata dalla Corte di Strasburgo. La quale, come tutti sanno, ha individuato, a partire dal famoso caso Engel del 1976, dei criteri, tra loro alternativi, in presenza dei quali i singoli illeciti previsti negli ordinamenti degli Stati firmatari devono essere, a prescindere dal loro nomen iuris, assoggettati alle garanzie di matrice penalistica contemplate dalla Convenzione, e quindi anche al suddetto principio della retroattività in bonam partem).
Facendo proprie le conclusioni cui si è giunti, con ordinanza di rimessione in data 27 marzo 2015 il Tribunale di Como interrogava la Consulta sulla legittimità costituzionale dell’art. 1 della l. n. 689/1981.
Con la sentenza n. 193/2016 la Consulta riteneva non fondata detta questione di legittimità costituzionale. Tuttavia detta pronuncia compiva comunque un passo in avanti verso la definitiva estensione alle sanzioni amministrative del principio della retroattività in bonam partem, laddove la stessa precisava che ove una sanzione amministrativa sia da considerarsi, in base all’applicazione dei criteri Engel, “convenzionalmente penale”, dovrà ad essa trovare applicazione, inter alios, anche il principio della retroattività del trattamento sanzionatorio più mite.
Nel 2019 la Consulta, per la prima volta, ha ritenuto applicabile il principio di retroattività della disposizione più favorevole anche alle sanzioni amministrative.
Con la sentenza del 21 marzo 2019, n. 63, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 6, co. 2, del D.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, in riferimento agli artt. 3 e 117, co. 1, Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 7 C.E.D.U.), nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate dal terzo comma dello stesso articolo 6 alle sanzioni previste per l’illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate, disciplinato – come è noto – dall’art. 187 bis del D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) e dell’articolo 6, comma 2, del D.lgs. n. 72 del 2015.
Nella fattispecie, con la richiamata sentenza la Consulta ha ravvisato l’irragionevolezza dell’opzione compiuta dal legislatore di prevedere una generalizzata irretroattività rispetto a qualsivoglia violazione commessa prima dell’entrata in vigore dei regolamenti di competenza di Consob e Banca d’Italia, quand’anche la nuova normativa fosse risultata più favorevole per l’autore della condotta accertata come illecita.
La Corte Costituzionale ha dunque sancito l’applicabilità del principio del favor rei, di matrice penalistica, anche alle sanzioni amministrative di natura “punitiva”, determinando così un significativo cambio di rotta rispetto alla ricostruzione tradizionale del sistema delle garanzie, di cui godono le sanzioni amministrative sostanzialmente penali.
Con la sentenza 63/2019, i Giudici, mutando il proprio precedente orientamento, affermano che la regola della lex mitior non è affatto riconducibile all’ambito applicativo di cui all’art. 25, co. 2, Cost., il quale, limitandosi sic et simpliciter a vietare l’operatività per il passato delle disposizioni che stabiliscano nuove incriminazioni, sancisce soltanto l’opposto principio dell’irretroattività della legge più sfavorevole e non già un generale divieto di applicazione retroattiva delle norme penali.
Inoltre il principio di retroattività favorevole troverebbe il suo fondamento, oltre che sul piano interno, anche su quello internazionale ed europeo.
La Consulta ha ritenuto che rispetto a singole sanzioni amministrative che abbiano natura e finalità punitiva, il complesso dei principi enucleati dalla Corte di Strasburgo a proposito della materia penale non può che trovare applicazione.
Laddove, infatti, la sanzione amministrativa abbia natura punitiva, di regola non vi sarà ragione per continuare ad applicare nei confronti dell’autore dell’illecito tale sanzione, qualora il fatto sia successivamente considerato non più illecito; né per continuare ad applicarla in una misura sproporzionata rispetto al mutato apprezzamento della gravità dell’illecito da parte dell’ordinamento; salvo che sussistano ragioni cogenti di tutela di controinteressati di rango costituzionale, rispetto alle quali debbono essere valutate le deroghe al principio di retroattività in mitius.
Trattasi, con tutta evidenza, di una sentenza che assume una particolare rilevanza sistematica indubbiamente innovativa riguardo alle sanzioni amministrative ad esempio nei settori bancario e finanziario. Più recentemente la sesta sezione del Consiglio di Stato con ordinanza di remissione alla Corte Costituzionale, proprio sulla scorta dell’applicazione della legge posteriore più favorevole, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 4, della legge 5 marzo 2001 n. 57, per violazione degli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 7 C.E.D.U., nella parte in cui, nell’introdurre una nuova disciplina sanzionatoria delle infrazioni gravi in materia di abusi di posizione dominante sul mercato (per le quali la sanzione pecuniaria da applicare non contempla più il minimo edittale dell’uno per cento del fatturato specifico dell’impresa interessata) non prevede anche che tale disciplina più favorevole sia da applicare retroattivamente.